RESPONSABILITA' DELLO STATO PER MANCATA ATTUAZIONE DIRETTIVE - Corte d'Appello Roma Sez. I Sent., 07-11-2018

RESPONSABILITA' DELLO STATO PER MANCATA ATTUAZIONE DIRETTIVE - Corte d'Appello Roma Sez. I Sent., 07-11-2018

La responsabilità dello Stato per la mancata o tardiva attuazione delle direttive europee è duplice, da un lato, verso l'Unione Europea per la violazione dello stesso diritto europeo, dall'altro, verso i cittadini i quali non hanno acquisito la titolarità di uno o più diritti a causa di detto mancato o tardivo recepimento. In riferimento all'ordinamento interno, si tratta di obbligazione ex lege di natura indennitaria per attività non antigiuridica, riconducibile all'area della responsabilità contrattuale.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE D'APPELLO DI ROMA

PRIMA SEZIONE CIVILE

nelle persone dei seguenti Magistrati:

Dottor LUCIANO PANZANI - Presidente

Dott.ssa ELENA FULGENZI - Consigliere

Dott.ssa Rossella VERDEROSA - Consigliere Ausiliario relatore

riunita nella camera di consiglio, ha emesso la seguente

SENTENZA

nella causa civile in grado di appello, iscritta al n. 129 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2013, posta in deliberazione all'udienza collegiale del 14.11.2017, previa riunione a quella avente nrg 4944/2012 ,con concessione dei termini previsti per il deposito della comparsa conclusionale e della memoria di replica, e vertente

TRA

E.M.C. C.F. (...) elettivamente domiciliato in Roma, Via Sant'Evaristo 157 presso lo studio dell'Avv. Isabella Negro che lo rappresenta e difende, in virtù della procura a margine dell'atto di appello.

APPELLANTE

E

Presidenza del Consiglio dei Ministri C.F. (...), in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Istruzione, Ministero dell'Università e della Ricerca Scientifica, Ministero della Salute, Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona dei rispettivi Ministri, elettivamente domiciliati in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l'Avvocatura Generale dello Stato, che li rappresenta e difende ope legis.

APPELLATI

E M.L. ed altri, tutti rappresentati e assistiti dall'avv. Marco Tortorella con domicilio eletto in Roma alla via Giovanni Antonelli 4

APPELLANTI INCIDENTALI

Q.P. C.F. (...) rappresentato e difeso dall'avv. Marco Tortorella con domicilio eletto in Roma alla via Giovanni Antonelli 4

APPELLANTE INCIDENTALE

E.S.L. C.F. (...) elettivamente domiciliato in Roma, al Viale Cortina D'Ampezzo 65 presso lo studio degli avvocati Stefano Nola e Nicoletta R.De Nittis che lo rappresentano e difendono, in virtù della procura a margine dell'atto di appello.

APPELLANTE

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

La motivazione della presente sentenza viene redatta ai sensi dell'art. 132 comma 1 n. 4) c.p.c., quale novellato dall'art. 45 comma 17 L. 18 giugno 2009, n. 69.

Oggetto del presente giudizio è l'appello proposto da S.L. incardinato con il nrg 4944/2012 avverso la sentenza n.11245/2012 del Tribunale di Roma, depositata il 31.05.2012.

Si sono costituiti nel giudizio con proposizione di appello incidentale Q.P., nonché M.G. ed altri 144

Avverso la predetta sentenza ha proposto separato appello E.M.C. con impugnativa avente nrg 129/2013.

Ha resistito in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri unitamente ai Ministeri dell'Istruzione, dell'Università e Ricerca, della Salute, dell'Economia e Finanze con il patrocinio dell'Avvocatura dello Stato.

I due giudizi sono stati riuniti.

Con la decisione di prime cure il Tribunale aveva così statuito:

- rigetta le domande proposte dalle parti attrici e dalla parte intervenuta nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente, Ministero dell'Istruzione, Ministero dell'Università e della Ricerca Scientifica, Ministero della Salute, Ministero dell'Economia e delle Finanze,

- condanna in solido le prime e nella misura di 1/180 la seconda al pagamento delle spese di lite nella misura di Euro 2500,00 per diritti ed Euro 25.000,00 per onorari.

Osserva preliminarmente la Corte che la pretesa azionata in primo grado dagli attori nel presente giudizio era relativa alla corresponsione della borsa di studio per la scuola di specializzazione in varie discipline mediche, nel periodo compreso tra il 1983 ed il 1994 e quindi alla corresponsione di un'adeguata remunerazione prevista dalla normativa comunitaria

Quanto al gravame, con un unico articolato motivo si deduce che erroneamente il Giudice di primo grado aveva ritenuto che l'attore avrebbe dovuto fornire la prova negativa di non aver lavorato durante gli anni della specializzazione, ovvero di non aver percepito remunerazione alcuna nel periodo di iscrizione e partecipazione ai corsi della scuola universitaria di specializzazione, sia dal SSN sia per prestazioni professionali maturate per rapporti di natura privatistica.

A dire dell'appellante il giudice di prime cure avrebbe errato nel ritenere l'azione esercitata mancante di un elemento costituivo del diritto al risarcimento ai sensi dell'art.2043 c.c. per difetto di uno dei presupposti di fatto atti a configurare una situazione giuridica lesiva di una posizione attiva.

Gli appellati Ministeri hanno ribadito la assenza di prova in ordine alla mancata prestazione di attività lavorativa remunerata nell'esercizio della professione medica, nonché l'eccezione di prescrizione quinquennale( ai sensi dell'art.2948 n.4 c.c.) ed in ogni caso l'estinzione del diritto ai sensi del comma 43 dell'art.4 L. n. 183 del 2011; in via gradata la carenza di legittimazione sostanziale passiva dell'Ateneo e delle Amministrazioni statali.

Preliminarmente deve osservarsi che la responsabilità dello Stato per la mancata o tardiva attuazione delle direttive europee è duplice: da un lato verso l'Unione Europea per la violazione dello stesso diritto europeo, dall'altro verso i cittadini i quali non hanno acquisito la titolarità di uno e più diritti a causa di detto mancato o tardivo recepimento.

Con riguardo all'ordinamento interno, trattasi di obbligazione ex lege di natura indennitaria per attività non antigiuridica, riconducibile all'area della responsabilità contrattuale ( Cass. Sez. Unite n.9147/2009).

Giova premettere che, quanto alle disposizioni europee che prevedevano un'adeguata remunerazione per i medici partecipanti ai corsi di specializzazione (n.362-363/75 e n.82/76 con termine per l'attuazione rispettivamente il 20.12.1976 ed il 31.12.1981), l'Italia si è adeguata solo parzialmente e tardivamente.

In particolare il D.Lgs. n. 257 del 1991 ha introdotto all'art.6 le borse di studio per gli ammessi alle scuole di specializzazione a decorrere dall'anno 1991 mentre la L. n. 370 del 1999 ha previsto all'art.11 la corresponsione di borse di studio agli specializzandi ammessi alle scuole predette negli anni 1983-1991 limitatamente ai destinatari di sentenze passate in giudicato del Tar Lazio; generandosi successivamente un consistente contenzioso per i medici specializzati negli anni 1983-1991 non beneficiari di sentenze irrevocabili del Tar Lazio.

La giurisprudenza di legittimità ha, dunque, a più riprese, affermato che non trova giustificazione, alla luce del diritto europeo, la predetta limitazione di cui all'art.11, in quanto essa subordina il riconoscimento, in ambito interno, di un diritto attribuito ai singoli da direttive comunitarie in condizioni non contemplate dalle direttive medesime ( Cass 17682/2011).

Osserva quindi la Corte che, la Suprema Corte ha anche affermato che, nel caso di omessa o tardiva trasposizione da parte del legislatore italiano nel termine prescritto delle direttive comunitarie, nella specie le direttive C.E.E 75/362 e 82/76/, non autoesecutive, sorge, conformemente ai principi più volte affermati dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee, il diritto degli interessati al risarcimento dei danni, che va ricondotto, anche a prescindere dall'esistenza di uno specifico intervento legislativo accompagnato da una previsione risarcitoria, allo schema della responsabilità per inadempimento dell'obbligazione ex lege dello Stato, di natura indennitaria per attività non antigiuridica, dovendosi ritenere che la condotta dello Stato inadempiente sia suscettibile di essere qualificata come antigiuridica nell'ordinamento comunitario, ma non anche alla stregua dell'ordinamento interno.

Ne consegue quindi che il relativo risarcimento non è subordinato alla sussistenza del dolo o della colpa e deve essere determinato, con i mezzi offerti dall'ordinamento interno, in modo da assicurare al danneggiato un'idonea compensazione della perdita subita in ragione del ritardo oggettivamente apprezzabile, restando assoggettata la pretesa risarcitoria, in quanto diretta all'adempimento di un'obbligazione ex lege, riconducibile all'area della responsabilità contrattuale, all'ordinario termine decennale di prescrizione (Cass. sez. un. 12 aprile 2009 n.9147).

Nella fattispecie il termine prescrizionale decennale decorre dal 27 ottobre 1999, data di entrata in vigore della L. 19 ottobre 1999, n. 370 (Cass. sez.I 31 agosto 2011 n.17868; n. 10813/2011; 10813/2011, 4538/2012 e 3279/2013).

Ne consegue quindi che deve ritenersi infondata anche la riproposta eccezione di parte appellata concernente l'estinzione del diritto ai sensi del comma 43 dell'art.4 L. n. 183 del 2011.

La Suprema Corte, ha recentemente rilevato, impostazione cui la Corte ritiene di aderire, che la disposizione di cui all'art.4, comma 43, L. n. 183 del 2011 (secondo la quale la prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da mancato recepimento delle direttive soggiace al termine quinquennale a norma dell'art.2947 c.c., decorrente dalla data del fatto da cui sarebbero derivati i diritti previsti nella medesima direttiva) si applica solo ai fatti successivi alla sua entrata in vigore (Cass n. 11034/2015).

Nel caso in esame l'atto di citazione in primo grado era stato notificato alle Amministrazioni convenute nell'anno 2008, data in cui non era di certo decorso il termine prescrizionale decennale, rispetto al 27 ottobre 1999.

Quanto all'onere della prova osserva poi la Corte che grava sul medico specializzando l'onere di provare, quale fatto costitutivo del danno-evento costituito dalla perdita dell'adeguata remunerazione, esclusivamente di avere frequentato -con iscrizione collocantesi a far tempo dall'anno accademico 1983-1984 fino a quello 1990-1991- un corso di specializzazione comune a tutti gli Stati membri. Ebbene dalla documentazione prodotta e dalla prospettazione della parte, quanto alla durata del corso, non specificamente contestata ex adverso, risulta che gli appellanti avevano frequentato un corso di specializzazione della durata di quattro anni.

Quanto poi alla circostanza che gli appellanti non avessero prestato alcuna attività lavorativa remunerata durante la frequenza del corso di specializzazione, si osserva che, trattandosi di un'ipotesi di non facere, non sussiste alcun onere probatorio a loro carico, ma piuttosto era comunque onere delle controparti, sempre che avessero sollevato eccezione specifica al riguardo, provare il facere del menzionato appellante ( Cass. sez. III 09.05.2011 n. 17868; Cass .sez.VI-3 22.10.2014 n.22480; Cass sez.VI -3 31.03.2015 n.6475).

In relazione alla liquidazione del danno la Corte, aderendo all'orientamento oramai consolidato della Suprema Corte, ritiene che detta liquidazione debba avvenire sul piano equitativo, dovendo utilizzarsi come parametro di riferimento le indicazioni contenute nella L. 19 ottobre 1999, n. 370, con cui lo Stato ha proceduto ad un sostanziale atto di adempimento parziale soggettivo nei confronti di tutte le categorie astratte in relazione alle quali, dopo il 31 dicembre 1982, si erano potute verificare le condizioni fattuali idonee all'acquisizione dei diritti previsti dalle Direttive comunitarie, non considerate nel D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257 (Cass. sez.I 9 novembre 2011 n.23275).

Sempre il Supremo Collegio ha poi anche affermato che, quanto al risarcimento dei danni per la mancata tempestiva trasposizione delle Direttiva comunitarie 75/362/CEE e 82/76/CEE in favore dei medici frequentanti le scuole di specializzazione in epoca anteriore all'anno 1991, deve ritenersi che il legislatore, dettando l'art. 11 cit. L. n. 370 del 1999, con la quale ha proceduto ad un sostanziale atto di adempimento parziale soggettivo delle citate direttive, abbia palesato una precisa quantificazione dell'obbligo risarcitorio da parte dello Stato, valevole anche nei confronti di coloro i quali non erano ricompresi nel citato articolo. A seguito di tale esatta determinazione monetaria alla precedente obbligazione risarcitoria per mancata attuazione delle direttive si è sostituita un'obbligazione avente natura di debito di valuta, rispetto alla quale, secondo le regole generali di cui agli artt. 1219 e 1224 c.c., gli interessi legali possono essere riconosciuti solo dall'eventuale messa in mora o, in difetto, dalla notificazione della domanda giudiziale (Cass. sez.III 9 febbraio 2012 n.1917; Cass sez.III 05.04.2012 N.5533; Cass sez.III 16.05.2013 N. 11941; ; Cass sez.III 06.11.2014 n. 23635).

Rilevato che l'art. 11 L. 19 ottobre 1999 prevedeva che ai destinatari della normativa medesima spettasse una somma di L. 13.000.000 annue, pari adEuro 6.713,94, senza alcun interesse legale e rivalutazione monetaria, e tenuto conto dei richiamati principi affermati dal Supremo Collegio, competano agli appellanti, che avevano frequentato un corso di specializzazione della durata di quattro anni, la somma complessiva risultante dal seguente computo:

Euro 6713,94 x4 = Euro 26.855,76 oltre agli interessi legali a decorrere dalla data della notifica dell'atto di citazione.

Quanto alla legittimazione passiva si osserva poi che, sulla base del principio enunciato nella richiamata sentenza Cass. sez. un. 9147/2009, va individuata, quale legittimata passiva, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in quanto organo dello Stato-persona giuridica, a cui, nell'ordinamento comunitario, viene imputato l'inadempimento per la tardiva attuazione di una Direttiva.

Pertanto, in riforma della sentenza impugnata, la Presidenza del Consiglio dei Ministri va condannata al pagamento, in favore di E.M.C. , S.L. e di M.L., ed altri della somma di Euro 26.855,76 cadauno oltre agli interessi legali a decorrere dalla data della notifica della domanda giudiziale.

Sussistono giustificati motivi, individuati nella circostanza dell'oscillazione giurisprudenziale quanto ai temi della presente controversia, per compensare integralmente tra le parti le spese processuali Di entrambi i gradi.

P.Q.M.

A) Dichiara il difetto di legittimazione passiva del Ministro dell'Istruzione, del Ministero dell'Università e della Ricerca Scientifica, del Ministero della Salute e del Ministero dell'Economia e delle Finanze;

B) In riforma della sentenza impugnata, n. 11245 /2012 del Tribunale di Roma, condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento, in favore di E.M.C. della somma di Euro 26.855,76 oltre agli interessi legali a decorrere dalla data di notifica dell'atto di citazione;

C) in favore di L.S. della somma di Euro 26.855,76 oltre agli interessi legali a decorrere dalla data di notifica dell'atto di citazione;

D) in favore di M.L. ed altri della somma di Euro 26.855,76 oltre agli interessi legali a decorrere dalla data di notifica dell'atto di citazione;

E) dichiara interamente compensate tra tutte le parti le spese processuali di entrambi i gradi di giudizio.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 1 ottobre 2018.

Depositata in Cancelleria il 7 novembre 2018.


Avv. Francesco Botta

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